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Assegno di mantenimento: Il figlio maggiorenne che non vuole lavorare o studiare perde il diritto al mantenimento. Cassazione ordinanza 24 maggio 2022 n. 16771

Assegno di mantenimento: Il figlio maggiorenne che non vuole lavorare o studiare perde il diritto al mantenimento. Cassazione ordinanza 24 maggio 2022 n. 16771

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Il figlio maggiorenne perde il diritto al mantenimento se il mancato raggiungimento dell’indipendenza economica è imputabile esclusivamente alle sue scelte e alla mancanza di una progettualità formativa o lavorativa. È quanto ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 16771/2022, con la quale ha rigettato il ricorso di una ragazza ventiduenne che aveva abbandonato l’università ed aveva rifiutato ingiustificatamente delle offerte di lavoro procuratele dal padre. Come precisato dalla Corte, il mantenimento per i figli non ha una funzione assistenzialeillimitata nel tempo e nel contenuto nei riguardi dei figli maggiorenni e disoccupati.

                                                                                   ***

                                                                 REPUBBLICA ITALIANA
                                                       IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
                                                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                                                                SEZIONE PRIMA CIVILE

Dott. CROLLA Cosmo
Dott. CASADONTE Annamaria Dott. FALABELLA Massimo Dott. CAMPESE Eduardo
ha pronunciato la seguente:

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CRISTIANO Magda

                                                                                  ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19846/2020 R.G. proposto da:

L.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA G.PISANELLI 4, presso lo studio dell'avvocato GIGLI GIUSEPPE, (GGLGPP43E16H501C) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati PIEMONTESI SILVIA, (PMNSLV64C60L424K);
- ricorrente -

B.R.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA G.PISANELLI 4, presso lo studio dell'avvocato GIGLI GIUSEPPE (GGLGPP43E16H501C) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati PIEMONTESI SILVIA (PMNSLV64C60L424K);
- ricorrente -

- Presidente - - rel. Consigliere -

- Consigliere - - Consigliere -

- Consigliere -

B.M.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA G.PISANELLI 4, presso lo studio dell'avvocato GIGLI GIUSEPPE (GGLGPP43E16H501C) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati PIEMONTESI SILVIA (PMNSLV64C60L424K);
- ricorrente -
contro

B.R.A.; - intimato -

sul controricorso incidentale proposto da:
B.R.A., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati TROMBETTA MICHAELA (TRMMHL74D45E098L), BRIGANTE ROBERTO ANTONIO (BRGRRT68R05I158W);
- ricorrente incidentale -

contro
B.M.A., B.R.M., L.A.;

- intimati -
avverso DECRETO di CORTE D'APPELLO TRIESTE n. 13/2020 depositata il 26/05/2020;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/04/2022 dal Consigliere COSMO CROLLA.
 

CONSIDERATO IN FATTO
1. L.A., divorziata da B.R.A., e i figli con lei conviventi B.M.A., nata il (OMISSIS), e B.R.M., nato il (OMISSIS), chiesero, con ricorso del 25.7.2018, che l'assegno per il contributo al mantenimento di ciascuno dei due giovani - che la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, emessa il 20.4.2016, aveva posto a carico del padre con l'obbligo di corrisponderlo alla ex coniuge-venisse aumentato da Euro 300 mensili ad Euro 800 mensili.
2.11 Tribunale di Gorizia, con provvedimento del 23.1.2020 rigettò la domanda, e, in accoglimento di quella avanzata in via riconvenzionale da B.R.A., revocò integralmente il suo obbligo di contribuzione.
3. Il reclamo proposto dai soccombenti contro la decisione è stato parzialmente accolto dalla Corte di Appello di Trieste che, con decreto del 26.5.2020, ha ripristinato l'obbligo di Brigante di contribuire al mantenimento del figlio R.M., nella misura stabilita dalla sentenza di divorzio.
2.1 La corte del merito ha affermato: i) che andava respinta l'eccezione di inammissibilità del reclamo sollevata dal reclamato ai sensi dell'art. 342 c.p.c.; ii) che il capo della decisione impugnata che aveva revocato l'assegno per la figlia M.A., ormai ventiduenne, andava confermato, avendo la stessa, una volta conseguito il diploma di scuola superiore nel 2016: abbandonato gli studi universitari dopo un anno senza sostenere alcun esame; rifiutato l'offerta di lavoro procuratale dal padre, di assunzione a tempo pieno e indeterminato come segretaria di concetto, con la motivazione di voler lavorare come aiuto cameriera; rifiutato, però, successivamente, una proposta di assunzione, sempre a tempo pieno e indeterminato, con tale qualifica; lavorato nel 2018 per appena venti giorni come banconista, senza superare il periodo di prova; manifestato l'intenzione di seguire un corso di grafologia per poi iscriversi, peraltro solo in corso di causa, a un corso biennale per ottici, che si tiene a Bologna e per un solo giorno a settimana, in quanto dedicato a persone che già svolgono attività lavorativa; iii) che il mantenimento del contributo economico per il figlio R.M. era invece giustificato dalla mancanza di prova della colpa di quest'ultimo nel non essersi reso autosufficiente, non essendo rilevante la sua irregolare condotta e tenuto conto che il ragazzo, da poco divenuto maggiorenne e seguito da uno psicoterapeuta, aveva recuperato le insufficienze scolastiche, ottenendo l'ammissione al quinto anno di liceo: fatto, questo, che lasciava aperta la possibilità di uno sviluppo progettuale di vita diverso dalla proposta lavorativa ricevuta dal padre, della quale, peraltro, non risultava dimostrata l'adeguatezza rispetto alle sue attitudini e ai suoi effettivi interessi; iii) che il contributo al mantenimento di M. andava tuttavia confermato nella misura fissata dalla sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, dal momento che non si erano verificati rilevanti mutamenti della situazione di fatto esistente alla data della sua emissione, avendo, al contrario, l'obbligato documentato di aver subito una contrazione dei propri redditi a causa di sopravvenute problematiche di salute.

4. L.A., B.M.A. e B.R.M. hanno proposto ricorso per la cassazione del decreto, affidato a sei motivi. B.R.A. ha resistito con controricorso, con il quale ha proposto ricorso incidentale per quattro motivi. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
 

RITENUTO IN DIRITTO

1. In ordine logico, vanno preliminarmente esaminati il primo e il secondo motivo del ricorso incidentale, che lamentano il rigetto dell'eccezione di inammissibilità del reclamo: la loro eventuale fondatezza, infatti, renderebbe superfluo l'esame dei motivi del ricorso principale.
2. Con il primo motivo viene denunciata la nullità del decreto ex art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per carenza assoluta o per apparenza della motivazione con la quale la corte del merito ha ritenuto che il reclamo non fosse carente del requisito di specificità richiesto dall'art. 342 c.p.c..

2.1 Il motivo è inammissibile.
2.2. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in materia di errores in procedendo non è consentito alla parte interessata di formulare in sede di legittimità la censura di omessa motivazione, in quanto spetta alla Corte di cassazione accertare se vi sia stato o meno il denunciato vizio di attività, attraverso l'esame diretto degli atti, indipendentemente dall'esistenza o dalla sufficienza e logicità dell'eventuale motivazione del giudice di merito sul punto (Cass.nr 22952/2015, 2001/7620).
3. Con il secondo motivo si lamenta la violazione degli artt. 342 e 739 c.p.c., e L. n. 898 del 1970, art. 9, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; si sostiene che la corte di appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il reclamo siccome non contenente specifiche critiche al provvedimento impugnato, né l'esposizione delle ragioni per le quali se ne richiedeva la riforma.
3.1 La censura è infondata.
3.2. In materia di specificità dei motivi di appello - disciplina applicabile anche al reclamo ex art. 739 c.p.c., - a seguito della modificazione dell'art. 342 c.p.c., operata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, è intervenuto l'arresto delle Sezioni Unite, che, con la sentenza n. 27199 del 2017, hanno enunciato il seguente principio di diritto "Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l'atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado" (cfr. Cass. nr 27199/2017).

3.3 E' stato, inoltre, precisato dalla successiva giurisprudenza di legittimità che l'appellante "che intenda dolersi di una erronea ricostruzione dei fatti da parte del giudice di primo grado può limitarsi a chiedere al giudice di appello di valutare ex novo le prove già raccolte e sottoporgli le argomentazioni difensive già svolte in primo grado, senza che ciò comporti di per sé l'inammissibilità dell'appello", e ciò in quanto, sostenere il contrario, "significherebbe pretendere dall'appellante di introdurre sempre e comunque in appello un quid novi rispetto agli argomenti spesi in primo grado, il che - a tacer d'altro - non sarebbe coerente col divieto di nova prescritto dall'art. 345 c.p.c." (cfr. Cass. 3115/2018, 24464/2020, 23781/2020, 21401/2021 e 4128/2022).

3.4 D'altra parte, come ha giustamente posto in luce l'ordinanza n. 10916 del 2017, è una regola generale quella per cui le norme processuali devono essere interpretate in modo da favorire, per quanto possibile, che si pervenga ad una decisione di merito, mentre gli esiti abortivi del processo costituiscono un'ipotesi residuale. Ne' deve dimenticarsi, come le Sezioni Unite abbiano ribadito, nella sentenza n. 10878 del 2015, che la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha chiarito in più occasioni che le limitazioni all'accesso ad un giudice sono consentite solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (v., tra le altre, la sentenza CEDU 24 febbraio 2009, in causa C.G.I.L. e Cofferati contro Italia).

3.5 Dalla lettura del reclamo - il cui testo è stato trascritto dal resistente nel corpo del controricorsi - e dal raffronto tra questo e il decreto impugnato, emerge l'infondatezza dell'eccezione proposta, smentita dagli approdi giurisprudenziali di cui sopra si è dato conto. 3.6 Invero il reclamo, pur riproponendo argomentazioni in fatto e diritto già spese dai reclamanti nel procedimento di primo grado, ha sottoposto ad espliciti rilievi la decisione reclamata, per non aver il tribunale adeguatamente e correttamente apprezzato elementi rilevanti, quali la giovane età di M.A., il suo percorso professionale, ancora in itinere, nonché i progressi scolastici raggiunti da R.M. e la sua volontà di continuare gli studi, circostanze queste ultime valorizzate dalla corte del merito nel riformare il decreto di primo grado in punto ripristino dell'assegno per il contributo al mantenimento del secondogenito.

4 Venendo all'esame del ricorso principale, con il primo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 147 - 148 e 337 bis, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si sostiene, con riguardo alla posizione di M.A., che il decreto impugnato avrebbe travisato, malamente applicandoli, i parametri valutativi che, secondo i principi enunciati da questa Corte, presiedono alla verifica della sussistenza da parte dei genitori dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni ma non ancora autosufficienti, ovvero: quello della proporzionalità, in rapporto all'età dei beneficiari; quello dello sfruttamento delle competenze e capacità dagli stessi acquisite a conclusione del percorso formativo compiuto, in sintonia con aspirazioni e attitudini; quello dell'esistenza di condotte stabilmente non più dirette al raggiungimento di obiettivi di competenza professionale o tecnica. Secondo i ricorrenti, M.A. avrebbe dato prova di essere in procinto di completare la prescelta formazione professionale, sì da potersi affacciare al mondo del lavoro nel rispetto delle proprie inclinazioni e propensioni, e non avrebbe mai assunto comportamenti interpretabili quali una definitiva mancanza di volontà di seguire un proprio percorso formativo, sicché la sentenza impugnata avrebbe illogicamente ritenuto ingiustificato il suo rifiuto dell'offerta di assunzione come impiegata nello studio del padre.

4.1. Il motivo è inammissibile (sin dall'enunciazione della rubrica, che, mescolando ben distinti profili di censura, riferisce incomprensibilmente il vizio di motivazione alla violazione di norme sostanziali) in quanto si risolve in una critica astratta e generica, volta unicamente ad ottenere una valutazione delle risultanze istruttorie difforme da quella, insindacabile nella presente sede di legittimità, operata dalla corte del merito, senza che, da un lato, sia chiarito in qual modo le conclusioni dalla stessa raggiunte siano in contrasto con i principi giurisprudenziali applicabili in materia, e, dall'altro, sia indicato il fatto decisivo omesso, oggetto di discussione fra le parti, che, ove considerato, avrebbe condotto all'accoglimento, in parte qua, del reclamo.

5. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la nullità del decreto impugnato, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione apparente.
5.1. Il motivo è manifestamente infondato: la corte triestina ha diffusamente spiegato le ragioni che deponevano per la revoca dell'assegno, rimarcando come il mancato raggiungimento dell'indipendenza economica di M.A. dovesse imputarsi esclusivamente a sua colpa, per aver ingiustificatamente rifiutato plurime offerte di lavoro, nonostante difettasse ogni prova di sue particolari inclinazioni e/o attitudini o di sue ben precise aspirazioni professionali che l'avessero determinata a compiere, ed a seguire con costanza, una diversa e coerente scelta progettuale alternativa. La corte d'appello, quindi, non solo ha valutato in maniera completa, logica e coerente gli elementi di fatto offerti in giudizio, ma ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte, secondo i quali "deve escludersi che l'assegno di mantenimento persegua una funzione assistenziale incondizionata dei figli maggiorenni disoccupati, di contenuto e durata illimitata, dovendo il relativo obbligo di corresponsione venire meno nel caso in cui il mancato raggiungimento dell'indipendenza economica si possa ricondurre alla mancanza di un impegno effettivo verso un progetto formativo rivolto all'acquisizione di competenze professionali o dipenda esclusivamente da fattori oggettivi contingenti o strutturali legati all'andamento dell'occupazione e del mercato del lavoro. A tal fine, la valutazione delle circostanze che giustificano la cessazione di tale obbligo va effettuata dal giudice del merito caso per caso e deve fondarsi su un accertamento di fatto che abbia riguardo all'età, all'effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all'impegno rivolto verso la ricerca di un'occupazione lavorativa nonché, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, dal raggiungimento della maggiore età, da parte dell'avente diritto (Cass. nn. 5088/2018, 12952/2016).

6 Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 337 ter e 710 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5; si argomenta che la corte territoriale, nel disattendere la richiesta di elevazione dell'assegno posto a carico di B.R.A. non ha tenuto conto del "venir meno di ogni e qualsivoglia rapporto tra il padre e i due figli" e dell'incremento patrimoniale/reddituale dell'obbligato conseguente alla sopravvenuta eredità e all'acquisito ruolo di giudice tributario.

6.1 II motivo che, stante il rigetto dei primi due, va esaminato con riguardo alla sola posizione di R.M., è inammissibile per plurime ragioni: in primo luogo perché non solo dalla rubrica, ma anche dalla lettura dell'intero corpo del relativo mezzo d'impugnazione, si evidenzia sostanziale mescolanza di doglianze non specificamente separate e separabili (cfr. tra le tante Cass. 26874/2018 e, da ultimo 7582/2022); in secondo luogo in quanto pecca di specificità, ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non avendo i ricorrenti indicato, il "dato", testuale o extratestuale, da cui i fatti storici omessi risultino esistenti, il "come" ed il "quando" tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti e la loro "decisività", (cfr. Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053, nonché, più recentemente, ex multi, Cass. n. 7472 del 2017; Cass. n. 21304 del 2016).

6.2 Ad ogni buon conto, ve rilevato che gli elementi dedotti nel motivo sono stati oggetto di valutazione da parte della corte del merito: nei passaggi motivazionali del decreto si dà, infatti, atto di una difficolta nelle relazioni tra il padre ed i figli che però non ha fatto venir meno l'interesse del primo per i secondi e si precisa, inoltre, che dall'esame della documentazione versata in atti, i redditi di B.A. hanno subito una contrazione a causa di sopravvenute problematiche di salute.

7. Con il quarto motivo viene dedotta violazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, per avere la Corte omesso di pronunciarsi sull'ammissione dei mezzi istruttori (prove orali, ordini di esibizione, indagini a mezzo polizia tributaria) idonei alla dimostrazione di fatti decisivi.
7.1 Il motivo è infondato.

7.2 Al riguardo va rilevato come la mancata ammissione della prova testimoniale o di altro mezzo di prova può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l'omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (fra le altre, in tema, v. Cass., aprile 2018, n. 8204; Cass. 7 marzo 2017, n. 5654; Cass. 17 maggio 2007, n. 11457).

7.3 Orbene, le motivazioni con le quali la corte d'appello, esercitando il potere di valutazione discrezionale degli elementi probatori in atti riservato al giudice del merito, ha espresso il proprio convincimento in ordine alle condizioni economiche di B.R.A. (che risultavano peggiorate per problematiche di salute secondo le risultanze documentali), alle criticità del suo rapporto con i figli (che non per questo avevano fatto venir meno il suo interesse per questi ultimi), ed ai percorsi di vita e professionali dei due giovani, non sono sottoposte a specifiche critiche, che ne facciano risaltare le contraddizioni con una, o più, delle circostanze che formavano oggetto della prova testimoniale articolata. Può aggiungersi, ad abundantiam: che dai capitoli non si evince quali mutamenti nello stile di vita e nelle condizioni economiche delle parti siano intervenuti nel biennio intercorso fra l'emissione della sentenza di divorzio e il deposito della domanda di revisione dell'assegno (in particolare, non risulta se la sentenza prevedesse, o meno, che i figli avrebbero trascorso determinati periodi dell'anno con il padre, durante i quali sarebbero stati interamente a suo carico); che le richieste di ordine di esibizione di documenti o di svolgimento di un'indagine della GdF sulla migliorata situazione patrimoniale/reddituale dell'obbligato in tale biennio risultano di natura meramente esplorativa; che non risulta sia mai stato dedotto in giudizio che nel 2019 al reclamato sono pervenuti beni in eredità.

8 Con il quinto motivo i ricorrenti prospettano la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia sulla domanda di revisione nella compartecipazione paterna alle spese straordinarie.
8.1 Il motivo è infondato, perché, come risulta dalle conclusioni delle parti riportate nel decreto, e come, del resto, espressamente rilevato dalla corte d' appello con accertamento che non risulta specificamente contrastato, la domanda non è stata riproposta in sede di reclamo.

9 E' infine inammissibile il sesto motivo del ricorso principale che, pur denunciando in rubrica la violazione dell'art. 91 c.p.c., non illustra alcuna censura, ma si limita ad auspicare che questa Corte, annullando il decreto impugnato, ponga le spese del giudizio a carico del controricorrente.
10. Restano da esaminare gli ultimi due motivi del ricorso incidentale.

10.1. Con il terzo B. denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'omesso esame di fatti decisivi in relazione al capo della decisione che ha ripristinato il suo obbligo di mantenimento del figlio R.M., per avere la corte d'appello omesso di tener conto di una serie di circostanze (scarso rendimento scolastico del figlio, ritiratosi da scuola nella classe quarta per non subire una sicura bocciatura; sue ripetute assenze; note disciplinari a suo carico; suoi comportamenti inadeguati e ingiustificati) che, ove considerati, avrebbero condotto al rigetto del reclamo anche sul punto.

10.2. Con il quarto motivo deduce, sempre in relazione al medesimo capo, la violazione dell'art. 111 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione contraddittoria o apparente.
10.3 I motivi, da esaminarsi congiuntamente stante la loro connessione, sono infondati.

10.4 La corte del merito ha infatti, quantomeno implicitamente, esaminato tutti i fatti che si assumono omessi, là dove ha affermato che non si poteva tener conto della "condotta morale" di R.M. e ha dato atto delle difficoltà da questi incontrate nel percorso scolastico, comunque in parte superate grazie all'ammissione all'ultima classe del liceo, ed ha pure escluso la valenza dirimente del suo cattivo rendimento, in quanto ha fondato la decisione non solo sulla ritenuta possibilità che il giovane completi gli studi, ma anche sulla sua assenza di colpa nel rendersi autosufficiente dal punto di vista economico, atteso che è appena diventato maggiorenne, che soffre di problemi di natura psicologica e che non v'e' prova che il lavoro offertogli dal padre e rifiutato sia conforme alle sue attitudini e alle sue aspirazioni. Tale motivazione, che si pone ben al di sopra del c.d." minimo costituzionale", non risulta né contraddittoria, né illogica né perplessa.

11 In conclusione, vanno rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale.
12 Le spese di giudizio vanno interamente compensate tra le parti in ragione della loro reciproca soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa interamente tra le parti le spese del presente giudizio,
Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali e di quello incidentale dell'ulteriore importo, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, ai sensi delD.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 aprile 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2022.

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